L’intervento di Don Andrea, assistente ecclesiastico regionale, al consiglio regionale del 26 novembre.
Un’analisi della figura della sentinella partendo dal Salmo 129 e dal capitolo 21 del libro di Isaia, resi attuali anche da Papa Francesco che ci invita a sperare, credere e adoperarci per un futuro migliore.
2 Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia preghiera.
3 Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi potrà sussistere?
4 Ma presso di te è il perdono:
e avremo il tuo timore.
6 L’anima mia attende il Signore
più che le sentinelle l’aurora.
7 Israele attenda il Signore,
perché presso il Signore è la misericordia
e grande presso di lui la redenzione.
8 Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe.
Il salmo ci invita alla speranza, all’attesa, al desiderio di una sentinella che aspetta l’aurora.
Ricordo in una delle mie mie esperienze al Goum in Sicilia, la prima, di essere partito senza sacco a pelo e senza materassino perché pensavo che in Sicilia facesse un sacco caldo: era fine agosto, inizio settembre e invece mi sono reso conto che in Sicilia fa un sacco freddo di notte.
Mi veniva in mente proprio questa espressione di questo salmo: “Come la sentinella attende l’aurora, così io anelo a te, Signore, desidero te, Signore.”, perché mi svegliavo di notte e non vedevo l’ora che arrivasse il sole per scaldarmi un po’. Non riuscivo più né a dormire, né a fare nient’altro; così ho capito che cosa significa attendere con grande desiderio l’arrivo del giorno, mentre sei nel pieno della notte.
Il salmo ci invita alla speranza e vorrei innanzitutto fermarmi su questo: che cosa è la speranza?
Credo che la speranza non sia il desiderio che la situazione nella quale ci troviamo cambi, anche se questo desiderio c’è;
La speranza non è “Speriamo che tutto cambi velocemente”, ma la speranza è che dentro questa situazione, con tutte le sue fragilità e con tutti i suoi limiti, ci possano essere frutti di bene, frutti di pace, frutti di comunione, frutti di cambiamento, frutti di bellezza.
Io penso, quando rifletto sulla speranza, alla pianta della vite.
La pianta della vite, in fin dei conti, è una pianta molto fragile: non è una grande sequoia, non è una grande quercia, maestosa nella sua imponenza, nella sua bellezza.
La vite molte volte è davvero una pianticella, specie quando le tengono basse, attaccate al terreno, proprio perché i grappoli possano ricevere il calore del terreno e scaldarsi con il calore delle pietre. La vite è davvero una pianticella fragile, piccola.
Eppure la speranza della vite qual è? Quale deve essere la speranza di una vite?
Non certo quella di essere una pianta diversa da quella che è: la sua speranza non è “spero di diventare una grande quercia” o “spero di essere un’altra pianta rispetto a quella che sono”. La speranza della vite è di poter portare frutti buoni!
Vorrei che anche noi partissimo da qui: la nostra speranza è di poter portare frutti buoni anche dentro questa situazione con tutti i suoi limiti e con tutte le sue fragilità. Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, il suo primo documento, scrive così
86. […] nel deserto, nella fragilità, c’è bisogno soprattutto di persone di fede che con la loro stessa vita indichino la via verso la terra promessa e così tengano viva la speranza. In ogni caso, in quelle circostanze siamo chiamati ad essere persone-anfore per dare da bere agli altri. A volte l’anfora si trasforma in una pesante croce ma è proprio sulla Croce dove, trafitto, il Signore si è consegnato noi come fonte di acqua viva. Non lasciamoci rubare la speranza!
e poi nelle nell’omelia che Papa Francesco ha fatto il 27 marzo, scrive così:
“Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede che libera dalla paura e dà speranza”.
Alcuni concetti scaturiscono da questi brani
Da soli non si va da nessuna parte: ciò che sono, che sono diventato e che sarò non è non è frutto del mio sacco, ma della condivisione con tanti altri.
Solo insieme noi possiamo crescere e portare frutto.
Quando tu porti con te la bellezza della vita perché la riconosci dentro le ferite della tua quotidianità, questa bellezza, questa gioia, questo amore e questa luce che ti abitano dentro, sono contagiosi anche per altri, molto più contagiosi, sicuramente, del coronavirus.
L’uomo e la donna della Partenza non sono tali per stare seduti sulle proprie sicurezze, ma sono sempre in piedi pronti a servire, a cercare, a lasciarsi scuotere dalle inquietudini che ci muovono dentro il cammino della nostra quotidianità.
Noi non siamo fatti per star tranquilli seduti su qualche divano, siamo fatti per stare in piedi e lasciarci scuotere dall’inquietudine che ci fa cercare sempre un qualcosa di più.
Amare è possibile sempre, in qualsiasi situazione. Gesù ama stando in croce, costretto dai chiodi, costretto a stare fermo perché inchiodato alla croce, eppure ama, anche li ama ed è quell’amore che cambia il mondo. È l’amore che fa girare il mondo.
In Gesù e con Gesù noi siamo luce del mondo con lui e per lui.
11 Oracolo sull’Idumea.
Mi gridano da Seir:
«Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella, quanto resta della notte?».
12 La sentinella risponde:
«Viene il mattino, poi anche la notte;
se volete domandare, domandate,
convertitevi, venite!».
“Shomèr ma mi-llailah?”, così suona in ebraico questa domanda “Sentinella, quanto resta della notte?”
Quando arriva il giorno? “Shomèr ma mi-llailah?”.
Questa è una vetta della poesia di Isaia! È un vertice, qualcuno dice, della coscienza dell’umanità. Dentro il contesto del capitolo 21 queste parole sono incomprensibili: molti hanno cercato di dare spiegazione di questi due versetti, ma hanno semplicemente cercato, senza riuscire a dare un’interpretazione definitiva.
Sono parole incomprensibili in quel contesto che ogni generazione ha dovuto interpretare senza mai afferrarne fino in fondo il senso; possiamo dire che quella sentinella è il profeta stesso, il profeta Isaia, e per i profeti camminare è più importante di capire: camminare è più importante di capire il senso della corsa che stanno facendo, perché il significato primo e più importante è quello della voce che dice ai profeti di camminare. I profeti sono sono fedeli a quella voce, anche se non intuiscono fino in fondo la totalità di quello che stanno facendo.
I profeti non sono padroni del senso ultimo delle loro azioni, della loro vita, della direzione e del significato della loro vita, dei gesti che compiono, dei simboli che mettono a disposizione di tutti.
Eppure sono fedeli, sono fedeli al cammino che gli viene chiesto di compiere.
I versetti “Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quando giunge il giorno?” sono la preghiera dell’attesa, della speranza durante il tempo della notte, dell’attesa e della speranza in Dio, nell’amico, la speranza della pace, l’attesa della giustizia, dell’amore che ancora non torna e dovrebbe tornare; il profeta sa, ne è certo, che l’alba arriverà e sta lì nella notte e rimane al suo posto di vedetta notturna proprio per dire che l’alba arriverà: voi intanto chiedete, domandate, ritornate, convertitevi, venite!
Il profeta abita la notte per accogliere le domande di tutti coloro che, come lui, cercano un senso, cercano una luce, cercano un’alba, attendono un’alba. Il profeta sta lì, come sentinella, a dire e ridire continuamente che vale la pena farsi domande nella certezza che il giorno arriva.
Questo profeta apre innanzitutto spazi di ascolto di dialogo per dare voce alle domande: nasce anche per noi un’azione concreta che possiamo cogliere dentro le tante relazioni che siamo chiamati a vivere nella nostra quotidianità: offrire spazi di dialogo, di ascolto e far sorgere le domande; e questo anche nel nostro essere educatori: far nascere le domande, metterci in ascolto delle domande dei nostri ragazzi.
La sentinella sa condividere la fatica di stare nella notte: è faticoso stare nella notte!
Condividi questa fatica, dì a tutti che anche per te è faticoso: non siamo mai soli.
La sentinella tiene viva la speranza di una nuova alba. In questo momento essere sentinelle non è semplicemente sperare che tutto torni come prima, ma desiderare di reimpostare la rotta, come ci suggerisce anche Papa Francesco in quel testo del 27 marzo:
“Il Signore ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del giudizio di dio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso il Signore, e verso gli altri”
Reimpostare la rotta.
La sentinella sa che la preghiera e il servizio silenzioso sono le sue armi vincenti, la sentinella cerca nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. La sentinella sogna un mondo nuovo che non è più quello di prima, ma è un mondo che si costruisce anche a partire dalla fragilità sperimentata, dalla notte che si sta sperimentando.
Noi siamo sentinelle e annunciamo che certamente dopo la notte verrà il mattino.
Anzi, è già avvenuto!
Perché Gesù è quel mattino che arriva dopo la notte.
Gesù è la stella del mattino che rischiara qualsiasi notte
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